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Funzione nutritiva e immagine corporea nei Disturbi del Comportamento Alimentare

10 ottobre 2019

Funzione nutritiva e immagine corporea nei Disturbi del Comportamento Alimentare

La nutrizione tra la vita e la morte

La nutrizione è una tra le funzioni fondanti che permette di definire la vita. Un corpo (sia esso una cellula o un essere umano) necessità di una barriera-limite che ne definisca l’identità e di un processo di scambio continuo con l’ambiente e con gli altri corpi per potersi definire “vivo”. La spinta evolutiva di un essere vivente poggia su di un’unica, e solo apparentemente semplice, motivazione: cibarsi.
Molti milioni di anni fa, la fame e la ricerca di cibo hanno portato alcuni essere viventi ad effettuare uno spostamento, non privo di rischi, dalla vita acquatica a quella terrena. L’utilizzo di ossigeno come comburente ha permesso, infatti, di trarre maggiore energia dalla molecola di glucosio (il cibo molecolare) e di consentire, così, un miglior adattamento dell’individuo all’ambiente.
In quanto funzione archetipica, la nutrizione utilizza per esprimersi un linguaggio analogico, ovvero di assimilazione (rendere simile a sé). L’apparato digestivo, infatti, permette di trasformare il cibo assunto in parti assimilabili dall’organismo (grassi, proteine e carboidrati) mettendo in atto un processo alchemico dove tutti i soggetti coinvolti subiscono un cambiamento: chi viene mangiato non sarà più ciò che era prima, così come non lo sarà chi mangia, seppur non in egual misura. La differenza tra i due soggetti si misura solo apparentemente in un’ottica dialogica vita/morte in quanto, ad un livello più profondo, non vi è altro che una mescolanza di materia concreta e sottile. Il prezzo di questo passaggio di stato si ritrova su di un continuum che va da una minima modificazione di identità (chi mangia) a una perdita di sé (chi viene mangiato).    
L’essere umano ha a disposizione molti apparati per assimilare il mondo e diventarne parte integrante e riconosciuta, egli non si nutre solo di cibo fisico (attraverso l’apparato digestivo, circolatorio e respiratorio) ma anche di cibo sottile, ovvero le sensazioni catturate dal sistema nervoso.
Frigoli D. afferma “…ogni stato di coscienza ordinario non è mai totalmente conscio, perché sul piano infrarosso esso è sempre la sintesi tra le sensazioni esterne percepite dal sistema nervoso e le sensazioni interne provenienti dal funzionamento dell’apparato digestivo.” Ciò che viene percepito rispetto a sé e al proprio corpo è, dunque, una sintesi di sensazioni consce e inconsce che vanno a costruire dinamicamente immagini di sé nel mondo.
Nei Disturbi del Comportamento Alimentare la funzione che più esplicitamente viene distorta è proprio quella nutritiva con conseguenze per l’intero benessere dell’intero psicosoma.
Il processo della malattia dà vita ad un circolo di dinamiche che continuamente traggono linfa dalla psiche così come dal corpo, dai pensieri e dai sentimenti, così come da quelle sensazioni (proto-emozioni) più viscerali e inconsce.
Come ben spiega l’ecobiopsicologia, il concetto ponte tra psiche e corpo risulta essere l’immagine; nei disturbi del comportamento alimentare (principalmente anoressia, bulimia e obesità, ma non solo) una distorsione dell’immagine corporea risulta, infatti, essere uno dei criteri diagnostici e clinici per la diagnosi di questi pazienti.
L’immagine corporea è un concetto le cui radici risalgono al XVI secolo con la descrizione dell’arto fantasma e che si è arricchito di studi, ricerche e evidenze cliniche soltanto in parte sovrapponibili.
Paul Schilder è tra i più importanti psicologi che si sono occupati di tale concetto definendo l’immagine corporea: “quel quadro nel nostro corpo che formiamo nella nostra mente, ossia il modo in cui il nostro corpo appare a noi stessi” (Schilder, 1935). Da questa definizione  emerge un’idea integrata di tale nozione, composta sia da esperienze e rappresentazioni legate al corpo, sia da credenze e vissuti psicologici; nello specifico, l’autore sottolinea l’importanza del movimento del corpo e delle sensazioni e percezioni che mano a mano si integrano in modo continuo nella formazione di schemi e rappresentazioni; tali schemi hanno una grande rilevanza poiché permettono all’individuo di definire i propri limiti nella relazione con l’ambiente e con gli altri e, allo stesso tempo, di definire sé stesso.
La formazione dell’immagine corporea attraverso i processi di memoria.
L’immagine corporea si costituisce, dunque, come una rappresentazione polimodale, plastica e dinamica, determinata da fattori di diverso ordine (affettivi, sensoriali, culturali, sociali ecc.).
La formazione dell’immagine corporea risulta associata a molteplici e dinamici meccanismi che portano la costituzione di tracce di memoria contenenti l’integrazione (o la mancata integrazione) delle informazioni elaborate dal soggetto rispetto alla rappresentazione di sé nel mondo. Essa si forma e si sviluppa al pari di qualsiasi altra conquista evolutiva , pertanto, è costruita dal bambino all’interno delle relazioni primarie e potrà risultare influenzata dalla tipologia di attaccamento che il soggetto sviluppa nei confronti del caregiver. Un soggetto con attaccamento sicuro tenderà ad avere un’immagine corporea realistica (ad esempio in termini di forma, peso e capacità), flessibile ma riconoscibile nel tempo (avrà una certa consapevolezza che il corpo può cambiare senza che cambi la propria identità), e associata a sentimenti ed emozioni integrati e accettabili, siano essi positivi o negativi.
Nei DCA il sistema di attaccamento è inevitabilmente compromesso e di conseguenza l’immagine corporea risulta disturbata e composta da sensazioni e percezioni dissociate. Generalmente avviene una sorta di “identificazione proiettiva” proprio tra sistema nervoso e apparato digestivo con una conseguente confusione data da proiezioni irrealistiche: l’immagine diviene corpo e il corpo diviene immagine. Un esempio di questa dinamica è dato dal meccanismo del controllo: il bisogno di tenere sotto controllo i propri stati interni (emozioni e sensazioni perlopiù inconsce o vissute come imprevedibili) porta queste pazienti a scindere il corpo dalla mente proiettando contenuti psichici sul corpo; in questo modo la percezione di questi pazienti risulta quella di poterli più facilmente controllare (escludendo il più possibile la realtà relazionale della psiche e della vita, cosa che tanto li spaventa). Nell’anoressia, ad esempio, si ritrova solitamente una percezione dell’immagine sovrastimata (il mio corpo è più grosso di quanto lo sia oggettivamente), nella bulimia vi è una forte presenza di un’immagine negativa e disprezzata (il mio corpo non è piacevole) mentre nell’obesità la presenza di un’immagine negativa del proprio corpo è spesso correlata a un ‘età di insorgenza precoce del sovrappeso (Bruch 1977).
Un’immagine corporea altamente irrealistica e/o negativa si pone contemporaneamente come fattore di rischio, conseguenza e, dunque, fattore significativo che alimenta e tiene in vita i circoli disfunzionali presenti nei DCA.
Identificare e modificare le tracce mnestiche su cui poggiano le immagini corporee patologiche risulta essere, a mio avviso, una possibilità terapeutica importante poiché la memoria svolge un ruolo determinante  nello sviluppo della malattia così come nella cura della stessa. Gli studi di Cristina Alberini hanno dimostrato come la memoria a lungo termine utilizzi meccanismi biologici di “programmazione” e “riprogrammazione” continui; questo fa presupporre l’esistenza di una possibilità di modificare, all’interno della terapia, la rievocazione di ricordi legati a valutazioni negative del proprio corpo, esperienze traumatiche, percezioni errate di grandezze o funzioni corporee ecc.
La memoria è dunque una variabile su cui è possibile e importante intervenire per aiutare questi pazienti nella cura della malattia. La mia ipotesi è che, nelle persone con un disturbo alimentare, si siano formate immagine corporee talvolta troppo negative, altre volte troppo variabili e altre ancora immagini ideali troppo rigide.
La sfida che si impone al terapeuta è, dunque, quella di riconnettere percezioni, emozioni e cognizioni frammentate e disfunzionali, ricostruire ricordi e creare nuove informazioni maggiormente utili e adattive per il soggetto.

Bibliografia
Alberini C.M. (2013), Memory Reconsolidation. London: Elsevier
Bruch, H. (1977), Patologia del comportamento alimentare. Milano: Giangiacomo Feltrinelli editore
Fonagy, P. Target, M. (2001), Attaccamento e funzione riflessiva, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2014
Frigoli D., L’alchimia dell’anima. Dalla saggezza del corpo alla luce della coscienza, Edizioni Magi, Milano 2017
Schilder P. (1935), Immagine di sé e schema corporeo. Milano: Franco Angeli
https://www.spiweb.it/eventi/15-giugno-2015-cmp-cristina-alberini-consolidamento-della-memoria/

Articolo a cura della Dr.ssa Gioia Stefania- psicoterapeuta ANEB